mercoledì 19 settembre 2007

Da Mi ritorni in mente:
È salutare per i membri e gli ex-membri della Fellowship of Friends leggere le testimonianze di appartenenti ad altre sette: porta relatività a temi verso i quali siamo stati abituati a non avere relatività affatto.
Sto parlando in particolare della presenza, che è il tema focale nella Fellowship of Friends. La presenza è tutto. Senza di essa nulla ha senso. Quando la si raggiunge si vedono le cose da una diversa, più alta prospettiva.
Il resto del mondo non persegue la presenza. È quindi qualcosa di molto speciale nel mondo, praticata quasi in esclusiva da un cerchio molto ristretto. La presenza è la pratica specifica del culto, nella Fof.
Leggendo le testimonianze dei membri di altre sette, si capisce che anche queste praticano qualcosa di corrispondente e forse altrettanto potente, forse addirittura più potente.
Non è possibile capire di che cosa, di caso in caso, si tratti.
Questa constatazione comunque toglie quel senso di unicità e mi incuriosisce ad approfondire la reale natura di ciò che abbiamo inteso come “presenza”.
Guardare poi a questa pratica come a una delle tante pratiche settarie, mi rivela un elemento che le accomuna: il fatto che sono fortemente emozionali, talmente tanto che si parla di emozioni superiori, fuori dell’ordinario.
Non bisogna però sentirsi tanto speciali: gli esseri umani giungono in certi casi a tali emozioni partecipando a riti di gruppo o di massa, come pregare o cantare in coro, o negli stadi, o davanti a una persona estremamente carismatica che tutti venerano come una divinità.
E guardando le immagini delle persone in queste situazioni, si vede gente che sviene, o è in estasi, o in una specie di trance che, chissà perché, mi ricorda gli incontri.

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