giovedì 10 maggio 2007

Lou scrive

Le cose, la luce sull’acqua del lago, i gabbiani che danzano nell’atto di pescare, e io stessa qui, a guardare, siamo quello che siamo.
Interpretare, dire “mi ricordo” o “mi fa pensare”, o “Robert dice che...”, è un modo per introdurre qualcos’altro nel semplice presente. Qualcosa di non necessario.
Così pure riguardo a noi stessi, quello che vediamo è quello che è e non occorre lottarci contro.

Alla luce di questa osservazione, vorrei condividere alcune considerazioni.

Sulla sequenza:
Ho provato con forza negli ultimi mesi nella scuola a praticarla.
Ma ho verificato che anche recitare la sequenza è un modo per introdurre nel semplice presente qualcosa di non necessario. Perché?
1) Se viene praticata in modo tale da permettere di raggiungere la presenza, vuol dire che comunque si era fatto uno sforzo “prima”, lo stesso che abbiamo sempre fatto senza sequenza.
2) Se si pratica anche quando si è raggiunto il presente, è un’intromissione.
3) Pensare di dover ri-praticare la sequenza quando si ripresenta l’immaginazione dopo aver completato con successo una sequenza, configura la nostra vita come una cosa terribile: una rincorsa cerebrale e ossessiva per raggiungere – forse - quello che è già lì: il presente.
4) Inutile dire che nella maggior parte dei semplici momenti della nostra vita quotidiana, la sequenza è impraticabile: pensate alla lettura, al parlare con qualcuno al lavoro, all’ascoltare qualcuno che parla, e così via. Persino mentre si mangia non è possibile praticare la sequenza. Robert infatti, che stupido certo non è, ha corretto il tiro suggerendo di usare solo alcuni dei 30 io come tema della sequenza e confermando così l’assunto che per lo più la sequenza non serve e non funziona.

Sul lavoro su di sè e ciò che significa:
Mi piacerebbe riflettere sugli obiettivi che ci ponevamo quando abbiamo raggiunto la scuola:
1) Volevamo vivere la nostra vita con maggiore consapevolezza? Esserne testimoni?
2) Semplicemente – come suggerisce Ouspensky, il nostro vecchio maestro ora messo da parte – “non volevamo vivere una vita da stupido?”
3) Qualcuno ha mai pensato che voleva creare un “corpo astrale”? Gliene importava qualcosa a qualcuno quando ha raggiunto la Fellowhisp?
4) E l’immortalità? Interessava a qualcuno all’inizio? Era il motivo della ricerca?

E per finire: cos’è il “risveglio”? Cosa vuol dire essere consci? Un essere conscio non dovrebbe forse essere sempre presente? E se Robert lo è, come mai ha inventato la sequenza e ne ha osservato i limiti personalmente?

Penso che dopo 20 anni nella Fellowship (l’ho lasciata da poco) non sia facile porsi queste domande. Siamo stati abituati a dare molto per scontato, più che mai negli ultimi due anni. Ci siamo abituati a credere che la pratica del ricordo di sè conduce al “risveglio”, che il lavoro su di sè è una cosa strettamente personale e abbiamo imparato a coltivare un forte senso di “noi e loro”, di “io e gli altri”, e così via. Io, io, io, me, me e poi ancora me... Ma e se il mondo e la vita intorno a noi e gli altri, povere altre creature dell’universo, avessero da insegnarci ancora tanto?
“Qui la profonda lezione dell’accettazione, non preferenza né diniego...”

1 commento:

  1. Ciao a tutti,credo che ogni commento ed ogni riflessione sul lavoro "prima e dopo" l'era FOF nella vita di ogni ricercatore sia lecito e che ogni esperienza abbia il diritto di essere valutata totalmente, credo di poter aggiungere anche, dal punto di vista personale che sarebbe per me ingiusto negare che la FOF e l'insegnamento di Robert mi hanno offerto molto e continuano ad essere vivi e praticabili nel mio quotidiano (non credo che se un Be, mi permetteva di essere più nel momento un mese fa, ora che non sono più nella scuola automaticamente sia diventato inefficace o peccaminoso..) "Personalmente" mi nutro di Sufi e di Whitman nel modo che più mi aiuta nel momento facendo i conti con i miei limiti.
    Neppure i racconti su Robert e le sue attività ludiche con i suoi giovani accompagnatori in realtà hanno molto a che fare con la mia decisione (sia Socrate che Platone probabilmente si abbandonavano a serate ludiche anche con giovinetti pur se certo in epoca diversa per canoni morali e convenzioni)nonostante io preferisca un immagine di Maestro più sobrio e "spirituale" piuttosto che impegnato nella scelta di costose camice di seta e dedito a festini.(probabilmente è un limite dettato dal mio tipo di macchina)Ma tutto dal lato pratico diventa accettabile, se ti offre quello di cui credi di avere bisogno nel tuo momento di ricerca di strumenti utili alla tua evoluzione.(in senso Umano).Certamente negli ultimi tempi la mia capacità di cogliere e di sfruttare (in modo sensatamente egoistico)l'aiuto della scuola per il mio percoso è di molto calata e da ciò, la decisione che forse non c'era più uno scambio utile e vitale tra me e la FOF.
    Aggiungo un ultimo P.S. a questo mio commento: una frase di Girard che mi ha sempre accompagnato recita più o meno così.."il lavoro esclusivo sulla macchina senza tenere conto del ricordo di se e del Divino è fine a se stesso e così il ricordo di se senza un giusto lavoro sugli atteggiamenti della macchina è solo immaginazione."
    Buon lavoro a tutti.

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